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Per il glaucoma (e non solo) meglio colliri senza conservanti

Più tollerati, ma con uguale efficacia farmacologica

Il glaucoma è una patologia cronica, e richiede l’uso di colliri per moltissimi anni, se non per tutta la vita. I conservanti che sono utilizzati per mantenere integro il prodotto, specie nei colliri multidose, che devono durare per più somministrazioni, possono avere effetti collaterali che aumentano proporzionalmente nel tempo e producono anche dei cambiamenti anatomici importanti sugli occhi dei pazienti.

Il paziente, pertanto, va sempre informato in merito, e lo specialista che effettua interventi chirurgici di glaucoma deve avere presente e saper gestire bene la congiuntiva di un occhio sottoposto all’uso di colliri con conservanti per anni e anni.

A fare il punto sui colliri è il Dottor Luigi Varano, della Struttura complessa di Oculistica dellAzienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

 

Come fa un collirio a medicare l’occhio?

Perché il collirio, che contiene uno o più principi attivi, attraversa l’epitelio congiuntivale e corneale, e penetra nell’occhio, anche a notevole distanza dal sito di ingresso. Basti pensare che gli effetti di molti dei colliri che normalmente prescriviamo riescono ad arrivare a livello retinico, o addirittura nel grasso periorbitale. Per aumentare l’efficacia di alcuni colliri, esistono degli eccipienti che “indeboliscono” le barriere naturali esistenti a livello dell’epitelio corneale e permettono una maggior penetrazione dei principi attivi. Questi eccipienti erano solitamente i conservanti stessi dei colliri, che con la loro azione detergente riuscivano ad indebolire le strette giunzioni intracellulari. Di recente sono state sviluppate anche altre sostanze, a base di nanoparticelle liposomiali, capaci di racchiudere al loro interno il principio attivo, e di rilasciarlo attraverso l’epitelio corneale, senza bisogno dei classici conservanti, con notevole beneficio per il paziente.

Collirio monodose versus multidose: quali sono le differenze più importanti?

Il collirio monodose è stato introdotto nella farmacologia oculare per rispondere ad alcuni problemi legati ai classici colliri multidose. L’assenza di conservanti nei monodose è sicuramente uno dei motivi più importanti, ed è di grande aiuto ai pazienti che manifestano reazioni allergiche o di intolleranza, dopo anni di terapia con colliri multidose, il cui numero tende ad aumentare. Esistono inoltre anche problemi igienici con il collirio multidose, mentre il collirio monodose garantisce che si eviti la pericolosa abitudine di lasciare per molto tempo aperto un collirio multi dose nell’armadietto dei medicinali. Molti pazienti, infatti, non seguono le indicazioni riportate sul medicinale, ossia di non utilizzarlo oltre il periodo massimo consentito dopo l’apertura (tipicamente 28 giorni), e lo lasciano non utilizzato per molti mesi (o addirittura anni!) nel loro armadietto dei medicinali. Per ultimo ricordiamo la praticità dei monodose, che risponde alle necessità di chi deve usarlo anche quando non si trova in casa (portandolo con sé, per esempio, nella borsetta o in un astuccio), e non vuole rischiare di contaminare il flacone multidose.

Colliri multidose senza conservanti: quale sicurezza per il paziente?

I piccoli oftioli monodose, cioè i micro flaconcini, non sono pratici per tutti i pazienti. Pensiamo ai più anziani ed ai pazienti con problemi articolari, che mal volentieri maneggiano queste fialette. Consideriamo anche il problema etico dell’uso enorme di materie plastiche necessarie per la produzione dei singoli oftioli: tutto questo solo per la somministrazione di una singola goccia di collirio. Si tratta di un costo sociale non accettabile per chi deve sostenere anni di terapia medica. Da qui l’esigenza di avere la comodità del multidose, ma senza il conservante. Negli ultimi anni la ricerca farmacologica ha introdotto dei contenitori multidose che riescono a garantire la sterilità del prodotto al loro interno, senza utilizzare i conservanti. Alcuni di questi flaconi sono dotati di una pompetta che espelle una singola goccia di collirio, senza permettere all’aria d’ambiente di rientrare nel flacone (contaminandolo). Altri dispositivi hanno una membrana semipermeabile in prossimità del beccuccio, che impedisce il passaggio di microrganismi verso il serbatoio del contenitore, lasciando però libero il passaggio del farmaco in senso opposto. Questi dispositivi sono utilissimi per ridurre il carico di eccipienti tossici per l’occhio, ma richiedono una piccola “formazione” da parte del paziente. La pompetta richiede una certa dimestichezza per essere schiacciata, mantenendo contemporaneamente il beccuccio orientato verso il fornice congiuntivale. I flaconi con membrana semipermeabile non vanno schiacciati con forza eccessiva per non danneggiare la membrana stessa, annullando così il loro ruolo protettivo contro le contaminazioni (la fuoriuscita del collirio da questi flaconi è più lenta perchè deve passare un filtro, e questo potrebbe indurre alcuni pazienti a premere il flacone con più forza, danneggiandolo). Molte case farmaceutiche utilizzano delle pratiche istruzioni illustrate (oltre al classico “bugiardino”), da consegnare ai pazienti, per aiutarli a prendere confidenza con questi flaconi. Personalmente cerco sempre di istruire il paziente quando prescrivo questi farmaci, e se possibile tengo disponibile in ambulatorio qualche campione di questi colliri multidose senza conservanti per far vedere il loro funzionamento (e, perché no, anche farlo provare).

Tre mesi di terapia topica. Confronto tra collirio monodose (90 fialette) e multidose senza conservanti (un flacone con validità dall’apertura di 90 giorni). La differenza nella quantità di plastica utilizzata è notevole.

Perché è importante nella malattia glaucomatosa l’uso di colliri senza conservanti?

Il glaucoma, come sappiamo, è una patologia cronica, e richiede l’uso di colliri per moltissimi anni, se non per tutta la vita del paziente. Sappiamo che alcuni effetti collaterali dei conservanti aumentano proporzionalmente nel tempo in cui vengono somministrati, e producono dei cambiamenti anatomici importanti sugli occhi dei nostri pazienti. Dobbiamo sempre tenere in considerazione questi cambiamenti, sia per informare correttamente i pazienti, sia perché potrebbero ritorcersi contro noi stessi, nel momento in cui dovessimo sottoporre il paziente a chirurgia oculare. Chi fa interventi chirurgici di glaucoma sa molto bene come sia difficile gestire la congiuntiva di un occhio sottoposto all’uso di colliri con conservanti per anni e anni.

Se il collirio penetra dalla cornea, perché la congiuntiva è così importante in questa malattia?

La congiuntiva risente molto della terapia topica cronica, ed i conservanti hanno sicuramente un ruolo importante in questa sofferenza, ma non solo. Anche alcuni principi attivi sono ugualmente capaci, dopo anni di terapia, di modificare la congiuntiva del nostro paziente, rendendola sottile, fragile, iperemica cioè cronicamente infiammata. Si riducono inoltre le cellule mucipare congiuntivali ed aumenta la presenza di fibroblasti, causando una sindrome da occhio secco iatrogeno. Tutto questo è molto importante, perché causa disagio ai nostri pazienti, riducendo la loro qualità di vita ed anche l’aderenza terapeutica: ne risulta alla fine una cattiva gestione della patologia glaucomatosa. In ultimo, ricordiamoci della chirurgia per il glaucoma, che è molto cambiata dopo l’introduzione dei derivati prostaglandinici, specialmente se usati con conservanti. È fondamentale considerare lo stato di salute della congiuntiva prima dell’intervento: introdurre una terapia preparatoria all’intervento per “svezzare” l’occhio dai farmaci antiglaucomatosi (personalmente uso quasi sempre colliri steroidei senza conservanti e lacrime artificiali per almeno due settimane prima dell’intervento, cercando di gestire l’ipertono con l’acetazolamide) e utilizzare degli antimetaboliti intraoperatori, come la Mitomicina C. A volte, quando la congiuntiva si presenta molto sofferente, nonostante i nostri tentativi, dobbiamo considerare anche una chirurgia “alternativa”, come una MIGS angolare, per dare qualche mese, o meglio ancora qualche anno, di respiro alla congiuntiva prima di una chirurgia filtrante “tradizionale”.

Bisogna cambiare molecole e prodotto spesso? Esistono colliri da mono-somministrazione?

Molte sono le variabili che entrano in gioco per la valutazione dell’efficacia della terapia topica antiglaucomatosa nel nostro paziente. Come si può ben immaginare, la tollerabilità è uno dei fattori chiave per consentire al paziente l’assunzione del farmaco in piena serenità. Altro fattore importante è la posologia: è facile immaginare che un collirio da somministrare due, o peggio ancora tre volte durante la giornata, sia molto più difficile da gestire di un collirio in monosomministrazione, meglio ancora se conservabile a temperatura ambiente, e da assumere al risveglio o la sera prima di andare a dormire. Anche la formulazione del collirio ha la sua importanza: un gel potrebbe appannare momentaneamente la vista, un oftiolo monodose potrebbe essere difficile da maneggiare per alcuni pazienti, mentre i dispositivi multidose senza conservanti potrebbero richiedere un impegno maggiore del paziente, per apprenderne il corretto utilizzo. Sono tutti elementi che dobbiamo prendere in considerazione quando prescriviamo un collirio antiglaucomatoso. Aggiungiamo anche il problema della tachifilassi, che normalmente si instaura dopo un lungo periodo di terapia medica, e ci renderemo conto che spesso dobbiamo modificare la terapia antiglaucomatosa dei nostri pazienti nel corso degli anni.

Che sintomi/segnali deve percepire il paziente per capire che sta diventando intollerante ad un certo prodotto?

Alcuni effetti collaterali sono comuni (pensiamo all’iperemia e all’iperpigmentazione cutanea dopo assunzione di derivati prostaglandinici, o alla bradicardia da beta-bloccante), e vanno spiegati bene al paziente prima dell’assunzione del collirio. Naturalmente qualora questi effetti diventino insostenibili per il paziente, andrà ridiscussa con lui la terapia. Alcuni principi attivi (per esempio la brimonidina) o conservanti (come il benzalconio cloruro o il thimerosal) possono dare reazioni allergiche, con sintomi tipici quali prurito, iperemia e chemosi congiuntivale, iperemia ed edema palpebrale (tipicamente in questo caso il rossore interessa anche il solco lacrimale, dove scorre il collirio somministrato in eccesso e non trattenuto dall’occhio). Altri effetti collaterali possono insorgere anche a distanza di anni, e sono correlati alla tossicità da accumulo dei conservanti con una sindrome da occhio secco severa (sensazione di corpo estraneo, iperemia, secrezioni dense al canto e alla base delle ciglia), o anche a modifiche più profonde (come nel caso dell’enoftalmo da eccesso di prostaglandine). In conclusione, i segnali di intolleranza al nostro collirio possono essere molteplici, e nessuno di essi va sottovalutato. Personalmente cerco sempre di istruire il paziente a riconoscere tali segni, ed a comunicarli per capire se sia necessario un cambio della terapia. Cerco inoltre di istruire il paziente su come ridurre l’insorgenza degli effetti collaterali, con semplici ma efficaci consigli: evertere la palpebra inferiore, asciugare l’eccesso di collirio eventualmente somministrato, occludere il puntino lacrimale per qualche minuto, se possibile farsi assistere da qualcuno durante la somministrazione, e, perché no, mostrare al proprio oculista direttamente in ambulatorio, almeno una volta, come di solito somministra il collirio a casa sua.

 

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