Glaucoma e cataratta, una connessione ‘stabile’ che va saputa gestire

Il primo intervento contro il glaucoma è quello di cataratta? La risposta a questa domanda, che può apparire particolare nella sua formulazione, è sì, ma solo in alcuni casi. L’operazione chirurgica, che prevede la rimozione del cristallino, è indicata, infatti, nel glaucoma cosiddetto ad angolo chiuso, dove aiuta con una serie di meccanismi a cascata a mantenere la pressione oculare stabile, mentre non è così efficace in altri tipi di glaucoma, come quello primario ad angolo aperto, o il normotensivo. Lo sottolinea il Dottor Antonino Pioppo, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica dell’Ospedale Civico – ARNAS di Palermo.

L’esperto evidenzia inoltre che, quando si opera di cataratta un paziente con glaucoma, la pressione oculare può raggiungere picchi significativi: occorre dunque preparare il paziente, utilizzando farmaci ipotonizzanti prima e dopo l’intervento.

Paziente con cataratta e glaucoma in terapia topica: chirurgia della sola cataratta o combinata. Quali criteri di opzione terapeutica?

Se la progressione della malattia glaucomatosa è sotto controllo con terapia medica (IOP al target e campo visivo stabile), è sempre meglio fare solo la chirurgia della cataratta.

Se il paziente desidera provare a ridurre il carico di colliri, o il controllo tonometrico è insoddisfacente, si può associare alla chirurgia della cataratta una procedura mini-invasiva di tipo angolare, altra alternativa è un ministent di drenaggio subcongiuntivale.

Quando le condizioni cliniche lo consentono è preferibile dissociare la chirurgia della cataratta da quella filtrante, al fine di aumentare le chances di successo.

In ogni caso, sia che si esegua una chirurgia della sola cataratta, che una procedura antiglaucomatosa, gioca un ruolo fondamentale lo “stato di salute” della congiuntiva.

Infatti, questa membrana svolge una funzione fondamentale per l’attività di drenaggio dell’umor acqueo. La sua reattività deve essere perciò pressoché nulla.

I rischi chirurgici nel paziente da operare di cataratta, se è in terapia per glaucoma

La pressione intraoculare può raggiungere picchi significativi sia durante l’intervento di cataratta che nell’immediato post-operatorio. Bisogna dunque preparare il paziente, utilizzando farmaci ipotonizzanti (inibitori della anidrasi carbonica, mannitolo) per via generale prima e dopo l’intervento per ridurre il rischio di complicanze importanti che potrebbero influenzare il buon esito dell’intervento.

Tutto ciò vale per la chirurgia sul cristallino. Ben diverso deve essere l’atteggiamento del chirurgo quando voglia, invece, eseguire una tecnica combinata.

Si può ancora oggi, nel 2023 dire, che il primo intervento antiglaucomatoso è quello di cataratta?

Lo si può dire solo per i glaucomi il cui meccanismo principale risiede nell’angolo stretto, occludibile e non sinechiato. Infatti la rimozione del cristallino elimina il principale fattore patogenetico di rischio, aumentando velocemente la profondità della camera anteriore e di conseguenza ampliando l’angolo camerulare. Negli altri tipi di glaucoma, come quello primario ad angolo aperto, o il normotensivo, l’estrazione della cataratta può ridurre in maniera marginale la IOP, e può agevolare l’esecuzione di eventuali successivi interventi di glaucoma, ma non può considerarsi terapeutica da un punto di vista pressorio in maniera stabile ed efficace.

Nella chirurgia combinata, quali sono oggi i sicuri elementi di successo ed ancor più le possibili cause di default?

Nella chirurgia combinata, così come quella non combinata, “sicuri elementi di successo” purtroppo non ne esistono. Si pensa che la chirurgia combinata possa fallire con più frequenza a causa dei mediatori del infiammazione contenuti  nell’umor acqueo e sprigionati durante e in conseguenza dell’intervento di cataratta. Ciò aumenterebbe il processo di cicatrizzazione della tecnica di chirurgia anti-glaucomatosa eseguita. In generale, le possibilità di successo della chirurgia (combinata e non) sono incrementate da:

  • operare occhi più in quiete possibile (congiuntive non troppo infiammate), possibilmente dopo un washout dalla terapia ipotonizzante e dopo un ciclo di steroidi di superficie;
  • utilizzare la mitomicina C a dosaggio e timing adeguati, per acquisirne i vantaggi e non i rischi;
  • cercare di personalizzare il trattamento chirurgico alle necessità del singolo paziente, quindi optare per una procedura piuttosto che un’altra sulla base delle caratteristiche del paziente;
  • ottimizzare il follow up post-chirurgico, che se inadeguato spesso può essere la causa del fallimento prematuro della chirurgia filtrante del glaucoma.

Tutti questi concetti impegnano quindi il chirurgo, prima di eseguire la chirurgia combinata, a esaminare con grande attenzione e cura lo stato della congiuntiva.

A questa membrana è deputato di fatto il compito di proteggere la zona della fistola chirurgica o comunque del drenaggio dell’umor acqueo quando si utilizzano i cosiddetti “tube”.

Esistono vari test che possono aiutare a stabilire il trofismo della superfice congiuntivale e a indirizzare ed utilizzare la fase di intervallo tra la decisione della scelta chirurgica e il timing dell’intervento, per migliorare la qualità del grembiule congiuntivale.

È ben noto a tutti che i colliri antiglaucomatosi sono di fatto irritativi e, direi, quasi tossici.

Pertanto, nelle settimane precedenti la chirurgia, è praticamente sempre opportuno instaurare una terapia cortisonica per ridurre o annullare la reazione infiammatoria e eliminare, o quasi, il rischio di cicatrici fibrotiche.

La molecola principe in questo caso è il cortisone che trova, per esempio, nel loteprednololo etabonato allo 0,5% una scelta di grande sicurezza per la combinazione di attività cortisonica con pressoché assenza di effetti collaterali, specie sul valore pressorio.

La nostra scelta, in questo senso, è praticamente costante perché l’obiettivo di ridurre la zona di cicatrizzazione intorno alla zona di drenaggio dell’umor acqueo è indispensabile, nonostante si adoperino farmaci antimitotici sul piano sclerale.

Numerosi Studi confermano la sicurezza di questo trattamento.

Nella chirurgia combinata la terapia post-operatoria ha bisogno di tricks particolari?

Nella chirurgia combinata, nel post-operatorio utilizzare sempre l’atropina e prolungare la terapia steroidea  anche per un paio di mesi.

Anche in questo caso, superata la prima fase di terapia steroidea intensa, si potrà anzi si dovrà prolungare il trattamento steroideo, evitando gli effetti secondari di questa molecola, comunque indispensabile.

Potremo quindi con grande tranquillità prescrivere nuovamente loteprednololo etabonato allo 0,5% da far utilizzare anche per 8-12 settimane, senza incorrere in alterazioni pressorie e, ancor più, spikes improvvisi.

Nella nostra esperienza è anche utile abbinare una terapia blandamente trofica del piano congiuntivale, prescrivendo al paziente prodotti a base di acido ialuronico in cui l’aggiunta di molecole trofiche, come la vitamina B12, e la pressoché insignificante presenza di conservanti garantisce un’ottima lubrificazione del piano congiuntivale, migliorando la compliance del paziente.

L’attività trofica di lacrime artificiali così strutturate produce un notevole miglioramento nel trofismo della congiuntiva, interferendo positivamente anche sulla attività del film lacrimale.

Queste scelte terapeutiche articolate tendono a ottenere uno stato di benessere del piano congiuntivale stabile che, unito a piccoli massaggi sulla zona della fistola chirurgica, insegnati e spiegati ai pazienti, riescono a dare alla chirurgia del glaucoma quel valore terapeutico e quel risultato funzionale che è l’obiettivo del chirurgo e la serenità del paziente.

 

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