Un sacco a pelo hi-tech per gli occhi degli astronauti

Lo Spazio rimodella i bulbi oculari creando temporanei problemi di vista

 

Nello spazio uno dei nemici degli astronauti ha un nome ben preciso: sindrome neuro-oculare associata al volo spaziale, o Sans.
Una condizione è caratterizzata da progressivo appiattimento del bulbo oculare, gonfiore del nervo ottico e compromissione della vista, probabilmente causata dalla pressione costante che i fluidi corporei applicano al cervello.

Cosa accade agli occhi in orbita

Sulla Terra la gravità attira fluidi nel corpo ogni volta che una persona si alza dal letto. Ma in orbita, la mancanza di gravità impedisce questo processo di scarico quotidiano, consentendo a più di un litro e mezzo di fluidi corporei di accumularsi nella testa e di esercitare una pressione sul bulbo oculare.
La Nasa ha documentato problemi di vista in più della metà degli astronauti che hanno prestato servizio per almeno sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale. Alcuni sono diventati presbiti, avevano difficoltà a leggere e talvolta hanno avuto bisogno di membri dell’equipaggio perché li assistessero negli esperimenti.

Un sacco a pelo per risolvere i problemi di vista

Un sacco a pelo ad alta tecnologia potrebbe però risolvere i problemi di vista nello spazio: aspirando i fluidi e scaricando la pressione cerebrale.
La tecnologia, frutto della ricerca dello UT Southwestern Medical Center e descritta su Jama Ophthalmology ha una struttura solida, opportunamente sagomata come una capsula spaziale, ed è progettata per adattarsi a una persona dalla vita in giù.

L’hanno già testata una dozzina circa di volontari e sembra promettente, sebbene vi siano alcuni interrogativi da risolvere, primo tra tutti quelli relativo al numero di ore in cui gli astronauti dovrebbero utilizzarla.

Alcuni effetti della Sans pare siano temporanei, in quanto la vista torna alla normalità poco dopo il ritorno degli astronauti sulla Terra, ma la ricerca secondo gli studiosi è vitale per il volo con equipaggio su Marte della durata di due anni che la Nasa spera di lanciare dal 2030.

 

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