Si continua a fare formazione a distanza, in attesa di tornare sul campo
Tre oculisti per ogni milione di abitanti. Quella che riguarda l’Africa sub-Sahariana, è la percentuale più bassa al mondo. L’89% delle disabilità visive – su oltre 250 milioni di persone che complessivamente ne soffrono oggi sul nostro pianeta – colpisce coloro che vivono nei Paesi in via di sviluppo. E, per tornare all’Africa, i non vedenti sfiorano i 5 milioni, gli ipovedenti sono più di tre volte tanto, 16,6 milioni.
Dallo sgomento provocato da questi numeri e da un’amicizia tra due medici, quella tra Gian Luca Laffi e Babacar Cissè, senegalese, è nata nel 1997 AMOA. L’Associazione Medici Oculisti per l’Africa è composta da medici, professionisti sanitari, volontari che da oltre vent’anni dedicano gratuitamente parte del loro tempo alla cura ed alla prevenzione delle malattie oculari in Africa, oltre che in Italia.
“Volontariato è non solo tendere le braccia verso gli ultimi, ma anche andare loro incontro impegnando tempo, risorse economiche, affrontando disagi e, a volte, pericoli, con l’obiettivo di ridare speranza, possibilità di guarigione, dignità”.
Parole di Francesco Martelli, medico oculista, attuale presidente di AMOA.
AMOA prende vita dunque in Senegal ma si espande in fretta: oggi è attiva anche in Camerun, Etiopia, Madagascar, Rwanda, Togo, Zimbabwe, Ghana, Uganda, Italia e sta valutando nuovi progetti in Tanzania. In Italia organizza seminari, workshop e congressi, anche internazionali, in cui si mettono a disposizione le esperienze maturate in tanti anni di attività. È ben chiara l’importanza della comunicazione: da qui il sito amoaonlus.org, le pagine Facebook e il profilo Instagram, oggi assai seguiti.
Prima che la pandemia da COVID-19 le impedisse, le missioni in Africa erano il senso e il fine di AMOA. Per assistere, curare, operare. Ma, soprattutto, per formare il personale sanitario africano affinché, come attualmente accade in molte missioni e ospedali, sia in grado di svolgere le attività di cura e chirurgia anche quando i membri dell’associazione non sono presenti. I viaggi di AMOA riprenderanno presto, appena possibile, nel frattempo mascherine, strumenti, telemedicina, formazione a distanza sono la quotidianità.
I destinatari sono sempre gli stessi: donne, uomini, bambini, adulti, anziani che non hanno accesso alle cure sanitarie. I più poveri e i più fragili dell’Africa.
Ma facciamo un passo indietro. Tutto ha inizio, come detto, con l’incontro tra due giovani medici specializzandi all’Università di Ginevra. È il 1988 quando Gian Luca Laffi conosce Babacar Cissè, agiato figlio di un ministro che avrebbe potuto, al suo rientro in patria a Dakar, iniziare una redditizia carriera. Ma il sogno di Babacar è quello di aiutare il popolo della “brousse”, l’area più periferica e rurale del suo Paese, con villaggi abitati da gente povera e senza assistenza sanitaria. Babacar ha un progetto ben chiaro e lo espone all’amico Gian Luca. Creare un centro per ciechi in Senegal insieme a Lilly Vogel, fondatrice e finanziatrice dell’associazione benefica svizzera nata in memoria del padre non vedente.
Nel 1992 il governo senegalese mette a disposizione un terreno per la realizzazione di un centro oftalmologico a M’Bour, cittadina sul mare a quel tempo di 130.000 abitanti, a circa 80 chilometri a sud di Dakar. M’Bour vive di pesca, agricoltura e dell’indotto derivante dalla vicina zona turistica della “Pétite Côte”. Il terreno era in realtà una vecchia discarica e necessitava quindi di importanti lavori ma, nonostante i tempi africani, l’entusiasmo generò una accelerazione impressionante. In quegli anni Laffi, a titolo personale, si recò un paio di volte a M’Bour per salutare l’amico Babacar e verificare lo stato di avanzamento dei lavori.
È l’11 novembre 1995 quando il centro inizia ufficialmente l’attività medica ambulatoriale e un’attività di sostegno degli ipovedenti e dei loro familiari tramite un laboratorio di cucito e artigianato. Non passa nemmeno un anno che Laffi e Babacar si spingono ancora più avanti: intendono creare un ponte tra Italia e Senegal per trasformare il centro oftalmologico di M’Bour in uno dei principali punti di riferimento del Paese. Laffi è consapevole che solo con la collaborazione di altri medici, ortottisti e infermieri può aiutare Babacar a curare e prevenire la cecità in Senegal.
Nel 1997 assieme a Carlo Sprovieri, oculista; Nicola Santacroce, specializzando; Francesco Cordua, studente; Marco Fina, avvocato, e Francesco Fiore, commercialista, fonda così AMOA-Associazione Medici Oculisti per l’Africa. Carlo Sprovieri è il primo Presidente. Gian Luca Laffi seguirà, oggi il timone è in mano a Francesco Martelli. Che conclude così: “Nella società attuale, epoca delle super-specializzazioni, troviamo sicurezza e conforto nelle nostre competenze, corriamo però il rischio di condurre una vita limitata, chiusa alle esperienze, ristagnante. L’atto di prendersi cura dell’altro è, innanzitutto, un bisogno fondamentale dell’uomo: noi siamo spinti per natura ad accudire. Donare e donarsi è un’opportunità imprescindibile della nostra esperienza di vita, noi intendiamo trasformarla in atti concreti e sperimentare la nostra interezza”.
[a cura di: Associazione Medici Oculisti per l’Africa – AMOA Onlus]