Giornata mondiale della Prematurità: la ROP (retinopatia del prematuro), dalla diagnosi alle armi per trattarla

Intervista al Prof. Domenico Lepore (Policlinico Gemelli di Roma, Presidente del Gruppo ROP)

 

La ROP (retinopatia del prematuro), è la causa di cecità più frequente in età infantile nel paesi industrializzati ed in quelli in via di sviluppo: in Italia più di due bambini al giorno sono a rischio di cecità per questa patologia. La ROP è tipica e peculiare dei bimbi che nascono prima delle 32 settimane di gestazione. È anche per questo altamente prevenibile: si sa quando si manifesta e vi sono diverse armi per poterla trattare.

Lo spiega il Professor Domenico Lepore, Presidente del Gruppo italiano della Retinopatia del prematuro e Segretario esecutivo del Counseling mondiale della Rop, in occasione della Giornata mondiale della Prematurità. Occorre, su questa patologia che colpisce il 60% dei prematuri, sensibilizzare a tutti i livelli, in campo medico specialistico, perché ci sono sempre meno oculisti e neonatologi, ed anche fra i non esperti, perché non si manifesta con sintomi che possono eventualmente allertare.

Cos’è la Rop

“La ROP – specifica Lepore – è un’alterazione dello sviluppo della rete vascolare tipica dei bambini prematuri. Sostanzialmente si arresta il normale sviluppo delle arterie e le vene della retina. Si manifesta con segni tipici sulla superficie della retina, che lo specialista può rilevare con un oftalmoscopio indiretto, uno strumento che fa parte dell’armamentario di qualunque oculista, con una lente che serve a visualizzare il fondo oculare e nella stragrande maggioranza dei casi segue una progressione in stadi di gravità crescente. Se non trattata in tempo può portare ad un distacco di retina, molto difficile da trattare chirurgicamente”. In Italia non ci sono dati sulla prevalenza della ROP perché i tentativi di creare un registro della ROP stanno incontrando molte difficoltà.

Come si diagnostica

Quando il bambino nasce, a seconda dell’età gestazionale e del peso, può essere classificato in base al rischio di sviluppare la ROP. Tra la ventinovesima e la trentesima settimana di età post-concezionale (ovvero la somma dell’eta gestazionale alla nascita più quella cronologica) va fatto il primo esame del fondo oculare. “La richiesta di esame iniziale – aggiunge Lepore – è a cura del neonatologo, che deve chiamare l’oculista ad effettuare la visita. A questo segue un follow up, cioè delle visite di controllo, che non vanno mai distanziate più di 15 giorni (di solito ogni sette, oppure ogni tre, a seconda di quanto prevedono le linee guida nei casi specifici). Così è possibile intercettare la ROP nel momento in cui arriva a un certo livello, definito ROP Tipo 1, che deve essere trattata in tempi brevissimi (entro 48 ore). Questi controlli serrati devono essere effettuati fino alla sessantesima settimana di età post-gestazionale. Va tenuto presente – prosegue l’esperto – che i più piccoli, ovvero i bimbi prematuri più gravi, sviluppano la ROP più precocemente, mentre i più grandi più tardi, ovvero ben oltre il ritorno del piccolo paziente a casa. L’ospedale deve quindi organizzarsi per il follow up a lungo termine. In questo senso il coinvolgimento dei pediatri di base è essenziale”.

Le armi contro questa malattia 

“Lo standard fino a qualche anno fa era il laser. Si distruggeva col laser la parte non vascolarizzata della retina per bloccare la patologia. Questo funzionava in maniera efficace nel 60-80% dei casi. Sono poi intervenuti degli studi, due dei quali mondiali (di cui peraltro l’Italia con la mia expertise – specifica Lepore – è stata uno dei promotori), che hanno dimostrato l’efficacia di un farmaco che è un anticorpo anti fattori di crescita vascolare, in grado di bloccare la progressione della patologia in maniera più “delicata”. Non si distrugge niente, semplicemente il farmaco blocca la crescita dei vasi”. A distanza di cinque anni i bambini sviluppano meno la miopia, non ci sono complicanze gravi sull’occhio. Il rischio di cecità è debellato.

“Il problema – aggiunge però l’esperto – è che mentre il laser è distruttivo e se funziona lo fa per sempre, il farmaco blocca la malattia ma in una percentuale di casi che varia dal 10 al 30% può riattivarsi a distanza di tempo, fino a 20 settimane dall’iniezione, ovvero fino a sei-sette mesi di vita del bimbo. Questo rinforza l’importanza dei follow up, con accessi riservati ai bambini. C’è quindi anche un problema di organizzazione che sta venendo fuori”.

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