Glaucoma, neuroprotezione e neuroenhancement-multifattorialità

Non soltanto una patologia oculare. Il glaucoma può essere considerato a tutti gli effetti una malattia multifattoriale, che rientra in quelle neurodegenerative, al pari di Alzheimer e Parkinson. Partendo da questo assunto, che impone di dare importanza non solo alla pressione intraoculare, ma anche al trofismo del nervo ottico e della retina, esistono molecole che possono agire su questo aspetto della malattia? Attualmente a livello di neuroprotezione ci sono diverse molecole in fase di sperimentazione. Visto i diversi meccanismi sottesi alla cascata degenerativa, un possibile approccio terapeutico è l’integrazione di più sostanze attive con diverse proprietà. Alcuni esempi: sostanze con azione antiossidante, antiapototica, neurotrofica sul trasporto del fattore BDNF e sostanze atte a ridurre l’eccitossicità da glutammato o i depositi della placca beta amiloide.

Fa il punto il Professor Ciro Costagliola, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Visivo e Direttore della UOC di Oftalmologia Azienda Ospedaliera Universitaria – Università degli Studi di Napoli “Federico II”, e membro del Comitato scientifico della Società Italiana Glaucoma (S.I.GLA.).

 

Da molto tempo ormai il glaucoma, una malattia dell’apparato visivo, viene paragonata ed inserita tra le malattie neurodegenerative. Perché?

In molti pazienti, nonostante si riduca in maniera significativa la pressione oculare, il declino della funzione visiva prosegue inesorabilmente. La pressione oculare non è più considerata l’unico fattore di rischio per la progressione del danno nel glaucoma. Il glaucoma è perciò una patologia multifattoriale determinata da fattori indipendenti dalla pressione oculare e che compongono il puzzle della sua patogenesi. Il glaucoma non può più essere considerato una patologia soltanto oculare, ma rientra nelle malattie neurodegenerative, al pari di Alzheimer e Parkinson. Come accade per le altre malattie neurodegenerative, anche nel glaucoma le cellule nervose degenerano mediante apoptosi con rilascio di sostanze tossiche che amplificano la risposta, coinvolgendo cellule limitrofe. Inoltre, le caratteristiche di progressione e di cronicità accomunano il glaucoma alle altre patologie neurodegenerative.

Più che il valore assoluto della pressione intraoculare, è quindi importante l’aspetto di trofismo del nervo ottico e della retina?

I due aspetti non sono scindibili, vanno di pari passo. Infatti, ad un alterato trofismo del nervo ottico fa da contraltare la necessità di ottenere un obiettivo pressorio più basso. In altre parole, l’obiettivo pressorio va calibrato sulla scorta dei dati morfo-funzionali ottenibili dall’esame del campo visivo computerizzato e dall’OCT.

È quindi importante che l’oculista si interessi allo stato di trofismo del nervo ottico?

Certamente!

Ci sono esami strumentali che possono valutare come sta il nervo ottico di ciascun paziente?

I potenziali evocati visivi rappresentano l’esame con elevata sensibilità e specificità, ma non sono facilmente disponibili presso le strutture di diagnosi e cura, in quanto appannaggio soltanto di centri di alta specializzazione. L’OCT è più sensibile della perimetria computerizzata per il rilevamento della progressione nel glaucoma precoce. Mentre negli stadi più avanzati l’utilità dell’OCT diminuisce a vantaggio dell’esame perimetrico. L’analisi del complesso cellule ganglionari è un rilevatore di progressione sensibile dalle fasi iniziali a quelle avanzate della malattia.

Dall’esito di questi esami si può pensare a programmare una terapia più o meno articolata?

L’esecuzione di questi esami determina e condiziona l’approccio terapeutico nel glaucoma.

Se il glaucoma è una malattia neurodegenerativa, esistono molecole che possono agire su questo aspetto della malattia?

La neuroprotezione per molto tempo ha rappresentato l’araba fenice dell’oftalmologia. I motivi sono tanti, i più importanti dei quali sono la cronicità della malattia, ragion per cui la valutazione dell’efficacia di un trattamento va monitorata per un periodo lungo (anni) e la modalità di rilevazione che deve essere oggettiva.

Negli ultimi anni, ci sono diverse molecole che hanno ottenuto risultati positivi nella prevenzione della cascata neurodegenerativa. L’ultima novità in ambito scientifico riguarda la niacina, molecola promettente per la neuroprotezione in pazienti con glaucoma e per un miglioramento della funzionalità delle cellule ganglionari retiniche.

E di conseguenza, se siamo in presenza di malattia neurodegenerativa, i problemi e la terapia di questo “mio glaucoma” li avrò vita natural durante?

Come per tutte le malattie cronico-degenerative, il glaucoma accompagnerà il paziente per tutta la vita. Follow-up e terapia non terminano mai! Nelle altre malattie i colleghi di altre specialità sono stati in grado di trasmettere questa sensibilità ai pazienti, noi oculisti non siamo stati ancora in grado di farlo, forse perché se ne parla ancora poco. Più che campagne di screening andrebbero progettate campagne di formazione/informazione per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti invalidanti della malattia.

Che obiettivi si sta ponendo la ricerca scientifica per produrre il cosiddetto “neuro enhancement”?

Le recenti acquisizioni fisiopatologiche hanno orientato la ricerca scientifica internazionale a esplorare e a studiare molecole in grado di esercitare un potenziale effetto neuroprotettivo o di neuropotenziamento sulle cellule ganglionari retiniche, il nervo ottico e le vie ottiche centrali, con un meccanismo d’azione diretto sulle strutture nervose e quindi non necessariamente legato all’effetto ipotonizzante.

Essendo le cause di neurodegenerazione molteplici, molto interesse è rivolto nei confronti di terapie con più principi attivi in grado di contrastare la neurodegenerazione a vari livelli (stress ossidativo, infiammazione, eccesso di glutammato, ecc.).

Diagnosi precoce o terapia aggressiva?

La diagnosi precoce è un elemento fondamentale del trattamento della malattia glaucomatosa, inscindibile da una terapia adeguata, più che aggressiva. Adeguata nel raggiungimento dell’obiettivo pressorio, che è proprio di quel paziente che abbiamo di fronte a noi. Alla terapia ipotonizzante andrà affiancata una neuroprotezione adeguata e basata sull’evidenza.

 

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